Per un’aspirante iperpoliglotta (titolo attribuito a chi conosce almeno undici lingue), la vacanza appena conclusa è praticamente un sogno che si realizza. Dopo mesi di intenso lavoro, ci siamo ritrovati a fine luglio con un’idea precisa sul tempo da dedicare alle vacanze ma non altrettanto chiara sulla destinazione. A un certo punto, come era già accaduto in passato, ho proposto a mio marito di spingerci fino al Portogallo e, con mia grande sorpresa, la risposta è stata affermativa!
Partiti così la mattina del 30 luglio, la sera del 31 eravamo già a Porto, nella parte centro-settentrionale del Paese. Per chi ama le lingue – e per me il portoghese è la seconda lingua di studio e lavoro da più di vent’anni – poter fare pratica sul posto, specialmente dopo anni dall’ultima visita, non ha prezzo. I quindici giorni trascorsi in Portogallo sono stati motivo di grande emozione, soprattutto nella consapevolezza di poter condividere tutto con la mia famiglia. Spostandoci da Porto all’Algarve, a sud del Paese, abbiamo potuto ammirarne alcune bellezze: São Martinho do Porto, Coimbra, il Monastero di Batalha, Fatima, Óbidos, Sintra, Lisbona e l’isola di Armona nei pressi di Olhão. Mi sono anche resa conto che, a distanza di anni, il Portogallo è ormai una meta gettonatissima e ho quasi avuto nostalgia del tempo in cui era meno noto e più facile da visitare.
A rendere ancora più speciale la nostra vacanza è stato il necessario passaggio dalla Spagna (costa atlantica all’andata e costa mediterranea al ritorno) e dalla Francia. Nel primo caso, non conoscendo attivamente la lingua, ho vissuto come sempre la frustrazione di capire gran parte del discorso ma di non poter rispondere che in inglese o in italiano, applicando i principi dell’intercomprensione. Pur avendo trascorso poco tempo in Spagna, non posso non ricordare la toccata e fuga a Gijón, la sosta di due notti nella magica Cordova e il passaggio da Torrevieja per un saluto a una cara amica inglese dei tempi dell’Erasmus in Germania (!) che vive in Spagna da anni. Nel caso della Francia, abbiamo avuto invece la fortuna di fermarci alcuni giorni nei pressi di Perpignan per goderci l’ultima tappa di un viaggio tanto improvvisato quanto meraviglioso. Qui il relax ha avuto la meglio e abbiamo potuto apprezzare la spiaggia, il tratto di mare del Pays Catalan, le piscine e il buon cibo nei dintorni del nostro campeggio.
Ebbene sì, la maggior parte del nostro viaggio si è svolta in campeggio, pernottando in un furgone attrezzato e, per le tappe più brevi, in bungalow o appartamento. Se si fosse trattato di parlare solo portoghese, francese e inglese, questa avventura non sarebbe stata così eccezionale. La differenza l’ha fatta proprio l’ambiente del campeggio che, dopo dieci anni di esperienza, mi sento di definire come la più internazionale delle modalità di soggiorno in Europa. Piantare un gazebo nuovo ricevendo aiuto da una famiglia belga, ricevere informazioni preziose su una piazzola – rivelatasi poi perfetta – dalla vicina portoghese o essere invitati a bere qualcosa dalle camperiste tedesche giunte l’ultimo giorno del nostro soggiorno in Francia non solo è un’occasione magica per chi, come me, ama le lingue e può cimentarsi nell’interazione e produzione orale delle stesse, ma soprattutto la dimostrazione che in un mondo di guerre, ingiustizie e incomprensioni c’è ancora spazio per comunicare, aggregarsi e aiutarsi a vicenda.
Chissà, forse conoscere la lingua dell’altro è un po’ come tendergli la mano, un gesto d’umiltà che può sorprendere in positivo; mi piace però pensare che, all’opposto di quello della violenza, il linguaggio universale della gentilezza – indipendentemente da qualsiasi lingua o cultura – possa ancora far sperare in un mondo migliore. In quanto alle mie aspirazioni di poliglottismo avanzato temo invece che una vita non basti, anche se non mi stancherò mai di ricordare le parole di una mia cara amica croata: što se hoće, to se može (volere è potere)!
Buon rientro a tutti!
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